Infiammazione
Bruciore, arrossamento, gonfiore, dolore: sono queste le manifestazioni tipiche dell’infiammazione, un processo che può avvenire, di fatto, in ogni parte del nostro organismo e per le cause più svariate.
L’infiammazione è un meccanismo di difesa che il nostro corpo mette in atto nei confronti – tipicamente – di traumi, ferite o agenti patogeni esterni. Ma non solo: può riscontrarsi anche a causa di reazioni allergiche o malattie autoimmuni. Potrebbe quindi non essere semplice riconoscere un’infiammazione, dal momento che i suoi sintomi e i segni con cui si presenta variano parecchio a seconda del punto del corpo in cui si manifesta. A rendere riconoscibile un’infezione è tuttavia il nome, o meglio il famigerato suffisso “-ite” con cui terminano tutte le malattie o disturbi caratterizzati da infiammazione: congiuntivite, colite, gastrite, artrite, otite, cistite, eccetera. Ne esistono centinaia, quelli elencati sono soltanto alcuni esempi di reazioni infiammatorie che possono avvenire nel nostro organismo.
Un altro elemento che unifica tutti i tipi di infiammazione, nonostante la varietà di sintomi e localizzazioni, è il meccanismo di base del processo infiammatorio. In pratica è sostanzialmente sempre lo stesso: a livello biochimico, si assiste all’attivazione di enzimi specifici (ciclossigenasi) e al conseguente rilascio di prostaglandine, sostanze in grado di promuovere l’infiammazione, che vanno a modificare la permeabilità dei vasi sanguigni e la loro dilatazione, per permettere alle cellule del sistema immunitario di raggiungere la zona colpita e “riparare” i danni. Si tratta, come si diceva, di un meccanismo di difesa, che serve non solo ad avvisarci del fatto che in qualche punto del corpo qualcosa non va, ma anche a predisporre il corpo stesso a combattere contro la causa che ha provocato l’infiammazione stessa.
Per questo motivo, si tratta di un segnale da non sottovalutare e da curare, almeno in parte. Per tenere sotto controllo il dolore, innanzitutto, ma soprattutto per evitare possibili danni secondari ai tessuti interessati.
Da non sottovalutare, inoltre, il fatto che un’infiammazione può passare da acuta a cronica, in termini medici si dice che l’infiammazione è “cronicizzata”. Questo avviene in genere quando non è possibile o non si è riusciti a eliminare del tutto la causa scatenante, oppure quando è determinata da fattori interni, come nel caso delle reazioni autoimmuni.
Le infiammazioni si possono quindi distinguere secondo un criterio temporale: possono essere circoscritte nel tempo (acute) oppure prolungate (croniche). In quest’ultimo caso, subentra una seconda tipologia di classificazione, di tipo spaziale. Le infiammazioni croniche possono essere diffuse oppure circoscritte in un’area particolare.
Trattandosi di una reazione aspecifica del nostro organismo, i fattori che possono causare un’infiammazione (che i medici preferiscono chiamare flogosi), localizzata o sistemica, sono molteplici. Le infezioni (virali, batteriche, fungine) rappresentano in genere la causa più comune. Gli agenti patogeni, in questi casi, producono delle tossine che vengono riconosciute dall’organismo attraverso recettori specifici (i cosiddetti TLR, toll-like receptors), e scatenano la risposta immunitaria.
È questo, per esempio, il caso di tutte patologie infettive dell’apparato respiratorio, come laringiti, faringiti, sinusiti, bronchiti e polmoniti, ma rientrano nel novero anche malattie a carico di altri apparati e organi, come la congiuntivite, l’otite, la gastrite, la tonsillite, l’appendicite, la cistite o l’epatite.
La risposta infiammatoria può però scatenarsi anche a causa di altri fattori: può essere per esempio una reazione eccessiva o sregolata, come nel caso delle allergie (dove avviene il rilascio di particolari sostanze chiamate citochine, che possono essere coinvolte nel processo infiammatorio), oppure può essere diretta contro cellule dell’organismo stesso. In quest’ultimo caso si parla di patologie su base autoimmune, come l’artrite reumatoide. Ma esistono anche alcune forme croniche di epatite o di gastrite nelle quali il sistema immunitario attacca una parte dell’organismo stesso scatenando l’infiammazione e, contemporaneamente, la patologia.
In tutti questi casi l’infiammazione tende a cronicizzarsi, dal momento che in genere il sistema immunitario non è in grado di eliminare completamente il fattore identificato inizialmente come estraneo.
Particolarmente dolorose e difficili da curare sono le infiammazioni a carico dei nervi: oltre a danni e traumi diretti, che avvengono di rado, tali infiammazioni possono essere causate da stimoli eccessivi occasionali (per esempio la nevralgia al trigemino, che può essere scatenata da una eccessiva sensibilità dentale o dal freddo intenso), oppure dall’alterazione e degenerazione dei tessuti circostanti, come nel caso della neuropatia diabetica.
L’infiammazione può insorgere inoltre in seguito di un trauma, che può essere causato da un colpo o una caduta durante l’attività sportiva, ma anche semplicemente da una posizione scorretta mantenuta troppo a lungo o da un movimento brusco: rientrano nel novero in particolare le infiammazioni a carico dell’apparato muscolo-scheletrico come borsite, artrite, fascite e tendinite.
A causare una reazione infiammatoria, infine, può essere la presenza di corpi estranei, soprattutto in una ferita, o una lesione interna, come nel caso di afte o ulcere.
In tutti i casi, a prescindere dalla localizzazione e dalla tipologia, per poter essere certi che si tratti di una infiammazione devono essere presenti i cosiddetti “segni cardinali”:
Il rubor, l’arrossamento dovuto all’aumento di sangue nell’area;
Il tumor, il rigonfiamento dell’area dovuto a edema;
Il calor, l’aumento della temperatura nell’area interessata;
Il dolor, dolore dovuto di solito all’azione irritante delle prostaglandine sulle terminazioni nervose;
La functio laesa, l’inibizione della funzionalità nell’area colpita (che si verifica in particolar modo nelle articolazioni).
L’arrossamento, soprattutto nei casi in cui il problema è un’infiammazione localizzata, è il primo segno riconoscibile e si deve all’aumento dell’irrorazione sanguigna nell’area, dovuta alla vasodilatazione e all’aumento di permeabilità dei vasi sanguigni. Tale fenomeno facilita la migrazione da parte del sistema immunitario di leucociti e fagociti, che riparano il danno ai tessuti e portano via i prodotti di scarto dalla zona interessata, che proprio per questo motivo appare più gonfia e calda. Quando l’infiammazione è particolarmente intensa o molto estesa, l’aumento di temperatura può diventare febbre, ed è di solito associata ad altre cosiddette “risposte di fase acuta”, come la sintesi epatica di alcune proteine e alterazioni metaboliche quali per esempio la cachessia (ossia la perdita di peso e deperimento generale).
Il dolore può avere manifestazioni diverse, variabili a seconda della tipologia di infiammazione: è tipicamente intenso e acuto, soprattutto se avviene un contatto brusco, una sollecitazione meccanica (come nei muscoli o nelle articolazioni) o termica (come nelle scottature), e si mantiene invece più sordo e costante a riposo. Il dolore, unito alla functio laesa, ha una funzione particolarmente utile, quella di indurci a non sollecitare troppo la zona interessata e a creare le condizioni più favorevoli a una veloce guarigione.
Ci sono casi in cui tuttavia il dolore infiammatorio non è così “utile” come potrebbe sembrare, o perlomeno non risulta funzionale alla guarigione. È il caso delle infiammazioni croniche, in cui il rischio principale è che l’organismo non possa (o addirittura non debba, come nelle patologie autoimmuni) combattere da solo la causa dell’infiammazione e finisca per provocare più danni che benefici.
La persistenza e la cronicizzazione di un processo infiammatorio, oltre a determinare il cosiddetto dolore cronico, possono anche causare danni rilevanti e anche irreversibili ai tessuti interessati.
Per questo sono disponibili diversi farmaci antinfiammatori, in funzione della tipologia di infiammazione, dell’intensità dei sintomi, della loro localizzazione. I più diffusi della categoria sono i cosiddetti FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei), che sono in grado di contrastare le reazioni flogistiche inibendo l’azione delle ciclossigenasi e riducendo la produzione di prostaglandine, molecole coinvolte nel processo infiammatorio.
Molti FANS sono disponibili come farmaci di automedicazione, e sono presenti in diverse formulazioni (compresse, bustine, oppure gel per applicazioni locali).
Quando il dolore è molto intenso, o l’infiammazione è piuttosto estesa o generalizzata (per esempio nell’artrite), è preferibile assumere i FANS per via orale, mentre i gel sono indicati in presenza di infiammazioni articolari o muscolari.
In ogni caso, è sempre opportuno consultare un farmacista o il proprio medico, che sarà in grado di impostare il giusto dosaggio e trattamento in base al nostro profilo personale, alla concomitanza di altre terapie in corso, alle eventuali intolleranze o allergie o allo stato di gravidanza.
Infine è bene sapere che, in caso di traumi localizzati, i gel non vanno applicati quando sono contemporaneamente presenti ferite aperte o abrasioni.