Cervicalgia e cervicale infiammata
La cervicalgia è uno dei disturbi più diffusi nel mondo occidentale: si tratta il più delle volte di un’infiammazione cervicale, che colpisce le vertebre superiori della colonna vertebrale, quelle che sostengono il collo e la testa.
Si stima che colpisca in maniera prevalente le donne e rappresenta una delle più diffuse cause di disabilità nel mondo. Il dolore causa l’irrigidimento del collo e una forte diminuzione nelle capacità di movimento. Tende inoltre a irradiarsi alle spalle e alle braccia, e a essere accompagnata da altri sintomi quali mal di testa, vertigini, nausea e disturbi sensoriali (alla vista e all’udito).
Può essere causata da svariati fattori come lo stress, l’ansia, lo scarso esercizio fisico, le posture errate, ma anche da traumi derivati da incidenti automobilistici (colpo di frusta) oppure da infortuni derivati dall’attività sportiva. Inquadrare cause e sintomi è molto importante per impostare un trattamento adeguato e facilitare la scomparsa del disturbo, che solitamente si risolve in modo spontaneo entro una settimana. Oltre questo lasso di tempo, oppure in presenza di attacchi che ricorrono con una certa frequenza, è opportuno rivolgersi al proprio medico.
La colonna vertebrale è tradizionalmente suddivisa in quattro regioni: il sacro-coccige, la regione lombare, la regione toracica e la regione cervicale. Quando si parla di cervicalgia, ci si riferisce al dolore localizzato in quest’ultima regione, nota anche sotto il nome di rachide cervicale. È costituita da sette vertebre, che formano l’asse di sostegno del collo e della testa. I dolori e le infiammazioni che coinvolgono quest’area sono principalmente di origine traumatica e possono riguardare le vertebre cervicali, le articolazioni o la muscolatura che le sorregge.
Il dolore percepito dai pazienti affetti da cervicalgia è di entità variabile. Si tratta di un dolore costante, che può essere localizzato in zone diverse della colonna cervicale. La localizzazione aiuta spesso a capire l’origine del problema, se coinvolge o no i nervi e se magari è in corso una reazione infiammatoria. Proprio in base alla localizzazione del dolore, si possono distinguere tre categorie di dolori cervicali:
La cervicalgia vera e propria, in cui il dolore riguarda principalmente il collo ed è accompagnato da una rigidità muscolare e da una limitata mobilità della zona colpita. In questo senso, è molto simile al torcicollo, al quale si può spesso accomunare.
La sindrome cervico-brachiale, nella quale i dolori tendono a irradiarsi alle spalle, alle braccia e talvolta alla mano. La comparsa di formicolii o eccessiva sensibilità agli arti interessati è di solito l’indizio di una compressione anomala dei nervi cervicali.
La sindrome cervico-cefalica, che determina la comparsa di cefalea di tipo tensivo oppure emicrania, vertigini, disturbi alla vista o all’udito, nausea e vomito.
Nella maggior parte dei casi, i dolori non durano più di qualche giorno e raramente superano la settimana, specie quando sono di origine traumatica: regrediscono spontaneamente, oppure con l’ausilio di farmaci da banco. Se non trattati adeguatamente, però, i sintomi tendono a ripresentarsi con relativa facilità. Questo avviene se l’infiammazione non è stata curata adeguatamente, o se c’è una patologia non correttamente diagnosticata a spiegare l’insorgenza dei sintomi. Se la cervicalgia si protrae per più di tre mesi, si può definire cronica, e può diventarlo se persistono fattori come lo stress o le posture scorrette, ma anche in presenza di malformazioni congenite alla colonna vertebrale, oppure di malattie degenerative come l’artrosi cervicale.
È importante, inoltre, distinguere l’esatta origine del dolore. Esso può infatti dipendere dai traumi muscolari, da problemi a carico delle articolazioni, o ancora da lesioni ai nervi, che possono essere infiammati o comunque sollecitati e compressi: questo avviene per esempio nell’ernia del disco.
L’esatta localizzazione e natura del dolore può essere identificata da un medico specialista, solitamente un ortopedico o un fisiatra, attraverso gli opportuni esami diagnostici: radiografia, TAC, risonanza magnetica o elettromiografia.
Premettendo che non tutti i fattori di rischio dipendono dal nostro controllo (l’avanzare dell’età, per esempio, espone più facilmente alla cervicalgia così come ad altri malanni come il mal di schiena), è possibile escludere o perlomeno ridurre quei fattori che possono esporci maggiormente a questo tipo di disturbi. La prevenzione passa prima di tutto attraverso la conduzione di uno stile di vita sano: fare sport, o comunque mantenere un regime di esercizio fisico costante, aiuta a rafforzare e mantenere tonici i muscoli e le articolazioni del collo. Cercare di ridurre lo stress e i fattori che scatenano l’ansia, fonte di eccessive tensioni muscolari, può essere un ulteriore aiuto.
Per alleviare il dolore quando, nonostante tutto, arriva, si può ricorrere ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS): come suggerisce il nome, questi medicinali placano l’infiammazione e riducono il dolore. Un’altra categoria di farmaci utilizzati appartiene alla classe dei cortisonici, prescritti dal medico nei casi più gravi per via dei numerosi effetti collaterali. Entrambi questi tipi di farmaci possono essere assunti per via orale oppure tramite l’applicazione di pomate, gel o creme che hanno un’azione localizzata. La terapia viene di solito prescritta per un periodo di 7/10 giorni e non dovrebbe essere né interrotta anzitempo (il dolore può sparire, ma l’infiammazione sottostante no, e come abbiamo visto, un’infiammazione non correttamente trattata può causare ricadute) né protratta oltre questo periodo se non dietro indicazione del medico. È bene ricordare che quando il dolore non risponde alle comuni terapie, può significare che c’è qualche altra patologia a causarlo, e ne va identificata l’origine.
Alla terapia farmacologica è necessario associare un comportamento orientato alla riduzione della sintomatologia: la parte colpita andrebbe tenuta il più possibile a riposo, magari mediante l’applicazione di un apposito tutore (il collare ortopedico). Va prestata, inoltre, particolare attenzione alla postura, che andrebbe corretta per ridurre le tensioni muscolari e i carichi eccessivi sulle articolazioni del collo.
La fisioterapia, infine, può aiutare sia a correggere gli eventuali problemi posturali, sia a ripristinare la funzionalità della parte colpita una volta che si sono risolti i sintomi più acuti. Esercizi di stretching e di rafforzamento muscolare, e anche massaggi o manipolazioni eseguite da professionisti possono aiutare a prevenire il ripresentarsi dei sintomi, ma solo se il dolore non è di origine infiammatoria o non è originato da artriti o ernie. In questi casi, infatti, i massaggi sono anzi controproducenti.
La chirurgia è un’opzione da non scartare, e si può rendere necessaria in presenza di patologie che causano compressioni a livello del midollo spinale o dei nervi, come avviene nell’ernia del disco. In questo senso, si può meglio comprendere l’esigenza di una diagnosi corretta da parte del medico, volta a identificare con esattezza il problema e a trovare la migliore soluzione per eliminare il disturbo.